“…Sono sopraffatto quando vedo la luna crescente o il sole in un cielo immenso. Nei miei quadri si trovano spesso forme minuscoli in vasti spazi vuoti. Spazi vuoti, orizzonti vuoti, pianure vuote: ogni cosa è stata spogliata fino a che fosse del tutto nuda e questo mi ha sempre procurato una forte impressione…”. Pittore, grafico e scultore catalano, Miró è profondamente legato alla sua terra (essendo lui del segno del Toro ha un grande amore per la natura e per la terra): la vita dei contadini, i loro oggetti di uso quotidiano, l’arte popolare, le luci e i colori del Mediterraneo sono alcune delle sue fonti d’ispirazione. In seguito, i soggiorni a Parigi e la frequentazione di Picasso e degli esponenti del dadaismo e del surrealismo ne hanno determinato lo stile e le scelte artistiche.
Miró affermava: «le cose più semplici mi danno delle idee». Il continuo contatto con la quotidianità della terra catalana, «il rumore dei cavalli nella campagna, le ruote di legno di carri che cigolano lungo la strada, il suono di passi, grida nella notte, grilli» alimentano la tensione emotiva e psicologica necessaria alla sua pittura. Nel 1912, intorno ai vent’anni, Miró (nato a Barcellona nel 1893) visita una mostra di pittori cubisti, come Juan Gris e Fernand Léger, ma i suoi primi dipinti, pieni di colori vivaci e stridenti, dalla pennellata decisa, sono vicini alle opere di Van Gogh, Cézanne e dei pittori fauves. A Barcellona frequenta l’accademia privata diretta da Francisco Galí che segue un metodo molto libero: gli allievi devono riprodurre un oggetto praticamente senza guardarlo ma conservandone la prima impressione. D’altro canto, Miró è uno straordinario osservatore e riesce a soffermarsi per ore su piccoli particolari naturali: per lui un sasso o un filo d’erba sono espressione della perfezione della natura tanto quanto un paesaggio nella sua complessa bellezza. Artista dal temperamento romantico, taciturno e riflessivo, Miró è, però molto attento agli sviluppi dell’arte moderna, soprattutto francese. Nel 1920 si reca a Parigi, dove frequenta il pittore cubista Pablo Picasso, che lo incoraggia a lavorare. Si avvicina inoltre al circolo degli artisti e poeti dadaisti, di cui apprezza la mancanza di regole (opposizione Urano-Sole che crea una volontà d’indipendenza a qualsiasi livello, dal sociale all’individuale) e preconcetti nell’arte. Ma Miró si muove su una strada autonoma, cercando soprattutto di lavorare liberamente, senza seguire le richieste dei mercanti d’arte.
L’incontro più importante nella capitale francese è, tra il 1923 e il 1924, quello con gli esponenti del movimento surrealista. Del surrealismo Miró apprezza l’importanza attribuita al «gioco arbitrario dei pensieri» e al sogno, dove la realtà è solo un punto di partenza per arrivare ad associazioni di immagini dal significato più profondo. La sua arte diventa sempre più concettuale e si semplifica nelle forme. Compaiono segni e simboli distribuiti sulla tela secondo un ordine a lungo meditato: «Se anche una sola forma è fuori posto, la circolazione si interrompe; l’equilibrio è spezzato».
Anche se la pittura di Miró tende a divenire astratta, nelle variopinte forme fantastiche tra loro accostate, permane quasi sempre una traccia del reale: un occhio, una mano, la luna. Alcuni quadri sono la rappresentazione del cielo che Mirò guardava attraverso gli occhi di un padre, che il suo cielo lo conosceva bene data la sua passione. Miró continua a ispirarsi alla natura, ma anche alla musica. Durante la terribile guerra civile spagnola, scoppiata nel 1936, lascia la Spagna e si rifugia a Parigi: qui compone poesie di stile surrealista, seguendo meccanismi psicologici simili a quelli adottati in pittura. Talvolta le parole compaiono anche nei quadri, costituendo la loro chiave di lettura.
Il Surrealismo, movimento di cui Mirò fu l’esponente maggiore, si sviluppò in Europa tra la fine della prima guerra mondiale e l’inizio della seconda, questa corrente fu caratterizzata dall’associazione della psicologia e della psicoanalisi all’esperienza grafico-pittorica, come strumento per liberare l’uomo dai condizionamenti e dalle emozioni negative. Jung, Lacan, Chacot, Janet e Freud divennero così fonte d’ispirazione per gli artisti surrealisti. Fondato da Andrè Breton, poeta e critico letterario, che ne decretò la nascita ufficiale nel primo manifesto surrealista del 1924. Egli descrisse il Surrealismo come un processo automatico, non dettato dalla ragione, ma scaturito dall’inconscio che una volta manifesto, si esprime attraverso immagini, gesti, parole affioranti in maniera istintiva “ L’ispirazione, per i poeti surrealisti, non è nella realtà quotidiana, logica e razionale, bensì -altrove -, in una dimensione superiore e libera che originariamente apparteneva a tutti ma è stata rimossa o dimenticata e può essere riconquistata solo attraverso l’immaginazione o il sogno: questa dimensione è la surrealtà ”.
La pittura di Mirò creava elementi della natura, come gli animali, le stelle, la luna, il sole, e le figure femminili. Affascinato dai colori del cielo e della terra e quindi l’interesse per la contemplazione della volta celeste nacque quando, da piccolo osservava le stelle dal grande telescopio del padre appassionato di astronomia. Questa meravigliosa esperienza lasciò nell’animo (fonte www.Jayavidya.org) del pittore un segno che lo portò a produrre il famoso ciclo delle Costellazioni 23 piccoli dipinti dai titoli veramente poetici, con fondi cromatici che vanno dalla tonalità del grigio-azzurro, a piccole stesure dai colori rosso, verde, bruno, tranne che in un’opera dove prevale il blu della notte. Meravigliato dalla bellezza del cielo e dall’infinito azzurro, creavano in lui grandi emozioni:”…Sentivo un profondo desiderio di evasione e mi richiudevo deliberatamente in me stesso. La notte, la musica e le stelle cominciavano ad avere una parte sempre più importante nei miei quadri…”. Le figure pur essendo trasformate, sono riconoscibili e alquanto reali, come lui stesso afferma “…Dopo aver lavorato intingevo i pennelli nella trementina e li pulivo sui fogli di carta bianca dell’album, senza alcuna intenzione premeditata. La superficie assorbente della carta mi metteva in uno stato d’animo positivo e suscitava la nascita di forme, figure umane, animali, stelle, il cielo, la luna, il sole. Le disegnavo a carboncino con tratti vigorosi … Avevo dato ai miei dipinti dei titoli molto poetici perché così avevo deciso e perché tutto ciò che mi restava, allora al mondo era la poesia …”.
Mirò fuse la sua pittura con la poesia, ispirandosi ad alcuni brani poetici composti da Breton che furono poi raccolti nel 1959, per conto del gallerista Pierre Matisse, in un vero e proprio libro d’artista a tiratura di circa 350 esemplari dove ogni immagine era accompagnata da una poesia di Breton. Osservando questi dipinti, si può notare che l’artista ha fatto emergere dal profondo inconscio figure astrologiche, stelle ed astri stilizzati, tra cui sembrano riconoscibili: i segni del Cancro, Leone, Scorpione, Vergine, Toro. Sono nate così queste associazioni: Cancro: Grazioso Granchio, tra i pianeti, nel cielo stellato, in te prospera fecondità e nutrimento. Leone: Quantiocchietti vispi circondano il volto del Leone. Cosa vedi bel leone con i tuoi grandi occhi?
Perché occhi ci guardate? Occhi, Forme, Stelle. Sotto il segno del Leone arde il sole luminoso.
Scorpione: Seguo lo Scorpione lungo il sentiero delle stelline, tra svariate minuscole sfere. Si susseguono come tanti coralli lungo una linea rosso-nero. Aspettando la prossima rinascita, lo Scorpione si prepara nell’ombra.
In tutto ciò risiede un evidente sentimento di ripartenza: un bisogno di auto-generarsi, appunto ripartendo da una sorta di “stupore bambino” avidamente alla ricerca di un’appropriazione sensoriale e affettiva del mondo e di se stessi, grazie a una libera onnipotenza che – come afferma Winnicott (37) – permette attraverso il gioco di sperimentare e di acquisire uno spazio interno in grado di accogliere e di contenere l’impatto con le pulsioni e con la realtà.
Guardando l’aspetto del Sole in opposizione con Urano sull’asse genitoriale quarta-decima concerne la tensione esistente con il padre sul piano esistenziale, in quanto Urano-tecnica/Astronomia/Astrologia non si allinea con i valori solari della tradizione, pertanto le visioni poetiche pittoriche di Mirò che disegnano archetipi zodiacali, comunque si oppongono alla visione di un lavoro, come quello del padre “normale”: Joan Mirò non poteva none essere quello che è.
La luna, presenza costante nelle opere di Mirò ed è legata all’immaginazione e al sogno dell’artista, secondo principi d’introspezione e di espressione romantica. Osservando ancora questi dipinti, notiamo in essi segni, forme geometriche triangolari, cerchi piccoli e grandi che ci richiamano pianeti, strutture filiformi e lineari attraversate da varie sfere che sembrano ricordarci orbite di pianeti o immaginari sistemi planetari. Si evince in queste immagini la ciclicità delle sfere, la sinfonia del firmamento con le sue forme, dove l’uomo trova rifugio, dinanzi alla crudeltà della guerra.
L’anima del pittore-poeta ci propone una personalissima interpretazione delle costellazioni in una visionaria volta celeste, con segni zodiacali, geroglifici astrologici, pianeti, orbite svincolate da qualunque canone figurativo che emergendo dall’inconscio del pittore, riecheggiano il ricordo di quando giovinetto, esplorava il cielo notturno attraverso il telescopio del padre e si dedicava alle poesie di Walt Whitman, che parlavano della bellezza del cielo. Nella sua pittura troviamo il riferimento al mito, a Madre Natura e agli uccelli mitologici. Miró inoltre afferma: «L’anonimato mi permette di rinunciare a me stesso, ma rinunciando a me stesso giungo ad affermarmi maggiormente».
L’artista catalano osservando il suo cielo ha trovato la culla primordiale, dove risiede il padre, sembra pertanto che grazie all’arte Miró abbia potuto ripudiare la “falsa” identità di provenienza paterna, difensivamente rigida e stabile, per lanciarsi alla ricerca di una nuova identità, di per sé sempre “mancante” e in fondo sofferente, ma per questo motivo anche feconda e propulsiva. Certo, l’”anonimato” esprime anche un’incapacità ad autoaffermarsi, il timore delle proprie pulsioni aggressive, un’identità maschile poco salda, una tendenza alla passività, nel contempo fornisce però l’energia, la nascosta “spinta” materna, da cui nasce lo slancio. Certo, qui la libera “spaziosità” del cosmo è anche temuta e in effetti Miró, negli anni in cui ha realizzato il dipinto, era ancora all’affannosa ricerca del suo stile personale: di una poetica in grado di appagarlo pienamente e di imporlo nell’ambiente artistico. In sostanza il padre-cosmo, “offerto” dai materiali e dai simboli dell’operare artistico, è il luogo in cui a quell’epoca in Miró era ancora in incompiuta gestazione l’amalgama di due opposte dimensioni del vissuto: da un lato le tracce di provenienza paterna, fonte di limitazione, di insicurezza, di rinuncia all’autoaffermazione, di introversione melanconica; dall’altro lato lo slancio che usufruendo di altre tracce, quelle di provenienza materna, intende fondare grazie alla loro energia e al loro appoggio una nuova virilità incarnata nella bellissima serie di lune, che esso ha ridotto a l’essenza di tratti, che si riducono a una semplicità “fanciullina” e in questo modo traduce il colore del cielo con il colore del suo sogno, un sogno che lo accompagnerà per tutta la vita.
Redazione IlNadir
Sara Del Monte