« Qui la moglie e là il marito
Ognuno va dove gli par
Ognun corre a qualche invito,
chi a giocar chi a ballar »
Il Carnevale, è una delle festività che più affascina, dal punto di vista fantastico e coloristico, soprattutto quando si parla di una delle più prestigiose location che offre luoghi di Cultura, e Arte come Venezia. Dove la fantasia viaggia attraverso i canali che bagnano questa città piena di misteriosi angoli. E’ curioso come le festività che da sempre animano le nostre vite, hanno radici antiche e molto spesso sfuggono alla nostra conoscenza del sapere “rivelato”.
La festa del Carnevale ha origini molto antiche, e si celebra nei paesi di tradizione cristiana. I festeggiamenti si svolgono spesso in pubbliche parate in cui dominano elementi giocosi e fantasiosi; in particolare, l’elemento distintivo e caratterizzante del carnevale è l’uso del mascheramento.
L’etimologia della parola carnevale deriva dal latino carnem levare (“eliminare la carne”) poiché anticamente indicava il banchetto che si teneva l’ultimo giorno di carnevale, cioè il giorno di martedì, subito prima del periodo di astinenza e digiuno della quaresima.
Il martedì successivo al carnevale, definito “Martedì grasso” combacia con il giorno di chiusura dei festeggiamenti carnevaleschi. Benché presente nella tradizione cattolica, i caratteri della celebrazione del carnevale hanno origini in festività ben più antiche, come per esempio le dionisiache greche (le antesterie) o i saturnali romani. Durante le feste dionisiache e saturnali si realizzava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo e anche alla dissolutezza.
I Saturnali sono un ciclo di festività della religione romana, dedicate all’insediamento nel tempio del dio Saturno e alla mitica età dell’oro; si svolgevano dal 17 al 23 dicembre (periodo fissato in epoca imperiale da Domiziano).
I saturnali avevano inizio con grandi banchetti, sacrifici, in un crescendo che poteva anche assumere talvolta caratteri orgiastici; i partecipanti usavano scambiarsi l’augurio io Saturnalia, accompagnato da piccoli doni simbolici, detti strenne.
Durante questi festeggiamenti era sovvertito l’ordine sociale: gli schiavi potevano considerarsi temporaneamente degli uomini liberi, e come questi potevano comportarsi; veniva eletto, tramite estrazione a sorte, un princeps – una sorta di caricatura della classe nobile- a cui veniva assegnato ogni potere. Il “princeps” era in genere vestito con una buffa maschera e colori sgargianti tra i quali spiccava il rosso (colore degli dèi). Era la personificazione di una divinità infera, da identificare di volta in volta con Saturno o Plutone, preposta alla custodia delle anime dei defunti, ma anche protettrice delle campagne e dei raccolti.
L’equivalente greco del dio romano Saturno era Kρόνος, Krono, il padre di Zeus. Quando i Romani sovrapposero Saturno a Kronos, la divinità ellenica era già da tempo assimilata a Xρόνος, Chrònos, il tempo che scorre. Tale associazione ha generato la figura di Saturno come sovrano di una mitica Età dell’Oro. Esiliato da Zeus e dagli Olimpi suoi figli al termine della Titanomachia, si diceva che Krono avesse spostato il suo regno in un luogo che, Greci prima e Romani poi, chiamavano “Isole Beate“. Da un punto di vista storico e Astrologico il carnevale rappresentò, dunque, un periodo di festa ma soprattutto di rinnovamento simbolico, durante il quale il caos sostituiva l’ordine costituito, che però una volta esaurito il periodo festivo, riemergeva nuovo o rinnovato e garantito per un ciclo valido fino all’inizio del carnevale seguente. Il ciclo preso in considerazione è, in pratica, quello dell’anno solare.
Anche la festa in onore della dea egizia Iside, importata anche nell’impero Romano, comporta la presenza di gruppi mascherati, come attesta lo scrittore Lucio Apuleio nelle Metamorfosi (libro XI). Presso i Romani la fine del vecchio anno era rappresentata da un uomo coperto di pelli di capra, portato in processione, colpito con bacchette e chiamato Mamurio Veturio. Durante le antesterie passava il carro di colui che doveva restaurare il cosmo dopo il ritorno al caos primordiale. In Babilonia poco dopo l’equinozio primaverile veniva riattualizzato il processo originario di fondazione del cosmo, descritto miticamente dalla lotta del dio salvatore Marduk con il drago Tiamat che si concludeva con la vittoria del primo.
Durante queste cerimonie si svolgeva una processione nella quale erano allegoricamente rappresentate le forze del caos che contrastavano la ri-creazione dell’universo, cioè il mito della morte e risurrezione di Marduk, il salvatore. Nel corteo c’era anche una nave a ruote su cui il dio Luna e il dio Sole percorrevano la grande via della festa – simbolo della parte superiore dello Zodiaco – verso il santuario di Babilonia, simbolo della terra. Questo periodo, che si sarebbe concluso con il rinnovamento del cosmo, veniva vissuto con una libertà sfrenata e un capovolgimento dell’ordine sociale e morale.
A questo sconvolgimento partecipano le nostre amate maschere che sono protagoniste di queste feste, derivanti da ogni luogo a noi conosciuto, e ognuna di loro racconta una propria storia, prendendo in considerazione il loro valore Astrologico, perché è di questo che si parla: ognuno di loro avrà le peculiarità di ogni singolo segno, marcherà anche il loro modo stravagante e burlesco di vestire.
Le maschere dell’iconografia carnevalesca, e in particolare quelle che derivano dalla Commedia dell’Arte, sono rappresentazioni goliardiche ed enfatizzate dei caratteri umani, ma soprattutto Astrologici. Autori e attori, prendendo spunto da personaggi leggendari o eroi di romanzi, racconti e ballate, hanno dato vita ai protagonisti di innumerevoli storie e gag per mettere in burla autorità e gente del popolo.
Meneghino (Acquario), maschera di Milano, il cui nome deriva da una categoria di servi che la domenica pare accompagnassero i signori in chiesa e/o alla passeggiata, a piedi o in carrozza (da un’aneddotica milanese, pare che questi servi dovessero accompagnarli sempre e solo a piedi).
Meneghino la personificazione del servo non coraggioso ma fedele, disponibile e dotato di buon senso. E’ un personaggio incline ad improvvisare cambiamenti (Urano) di opinioni, idee, pensieri e piani. Ha un grande bisogno di libertà e di conseguenza può assolvere meglio al suo destino nei rapporti basati sull’amicizia.
Nella sua personalità è presente una qualità ingannevole e sognatrice e mostra inoltre un senso di rispetto e di logica. Meneghino, segno della solitudine e di una individualità propria che porta spesso ad una vita “isolata”. Segue vie, quelle dell’originalità e dell’indipendenza, anche un’anormalità spinta all’eccesso, che può causare violente oscillazioni d’umore e rendere possibile l’assurdo, l’imprevisto e l’imprevedibile. Meneghino non ha il volto coperto da una maschera, ma si presenta a viso aperto e senza trucco. Anche questo sottolinea le sue doti di personaggio libero e disponibile ad interpretare ruoli anche un po’ diversi tra loro ma sempre mantenendo una ben definita personalità. A volte è servo, altre volte padrone, a volte contadino altre mercante. La sua fisionomia si precisa nel corso del Seicento grazie a Carlo Maria Maggi che gli diede anche un cognome: Pecenna, cioè “parrucchiere”, perché non perdeva occasione di strigliare gli aristocratici per i loro vizi. Col tempo divenne l’emblema del popolo milanese, che lo elesse a simbolo del proprio desiderio di libertà, nel corso della dominazione austriaca come spesso elogia il nostro segno dell’Acquario.
Pierrot (Pesci): la maschera di Pierrot nasce in Italia verso la fine del Cinquecento, grazie all’attore Giovanni Pellesini. Allora si chiamava Predolino ed era una delle tante variazioni del personaggio del servo (lo Zanni). Intelligente, con la parlantina sciolta. All’inizio Pierrot era un personaggio astuto, malandrino, doppiogiochista, per poi cambiare nel Settecento diventato il personaggio dal cuore spezzato e con una lacrima sul viso che conosciamo oggi. Il suo volto è bianco, mentre il suo look è formato da camicia bianca di raso con bottoni neri, pantaloni bianchi, papalina nera. Pierrot è un personaggio ingenuo, spesso preso in giro dalle altre maschere e dalle persone. Ma nonostante questo non perde la sua fiducia nell’umanità. Nel corso dei secoli il personaggio è stato affiancato a quello del rivoluzionario o a quello di un artista fuori dal mondo. L’indole intuitiva, mutevole e sognante (Nettuno) rende questo personaggio affine alla natura dei Pesci. Emotivo e sensibile, poiché molto comprensivo, crede nella bontà del prossimo, spesso riesce ad essere pratico e realista. Vulnerabile, manca di meccanismi di autodifesa. Il carattere spesso contraddittorio e spesso addirittura incomprensibile per chi non abbia la stessa mentalità ne evidenzia ancor di più le fattezze Pescine.
Capitan Spaventa (Ariete): Capitan Spaventa di Vall’Inferna è una maschera ligure. È capitano di goffaggine e, nonostante il nome, non spaventa proprio nessuno…
Capitan Spaventa è una maschera tradizionale della Liguria. E’ uno dei personaggi più antichi della Commedia dell’arte… pensate esisteva già nel XV!
Arroganza, smargiasseria e goffaggine lo rendono un personaggio molto buffo, le sue caratteristiche volevano ironizzare sugli ufficiali militari di quel tempo. Sebbene vanti tantissime avventure in battaglia, è molto più temerario con la lingua che con la spada. Capitan Spaventa indossa un vestito a strisce colorate, gialle e arancioni, un cappello a larghe tese abbellito con piume colorate, ricchi stivali e una spada lunghissima che trascina facendo molto rumore. Ha dei lunghi baffi, un pizzo castano ed un naso spaventevole. “Figlio del Terremoto e della Saetta, parente della Morte, e amico strettissimo del gran Diavolo dell’Inferno”come lui stesso si presenta è un soldato di ventura, reduce di tante battaglie, che racconta ingigantite le sue prodezze in combattimento e le sue avventure amorose. Ispirato a vari soggetti letterari e reali, il suo interprete più famoso fu Francesco Andreini (1548-1624) che mise in luce anche l’aspetto poetico e sognatore di questo personaggio strampalato che fatica a mantenere la distinzione fra fantasia e realtà. L’irruenza (Marte), l’amore per l’avventura e l’azione nonché l’ingenuità e la fragilità di questo soldato sembrano una caricatura dell’animo dell’Ariete.
Gianduja (Toro): Gianduja è la maschera piemontese per eccellenza. Nasce nel ‘700 ad opera di due burattinai, Giovanni Battista Sales e Gioacchino Bellone, ed è l’erede del burattino Gironi, costretto a cambiare nome per aver pronunciato alcune battute un po’ troppo salaci su Napoleone ed il fratello Gerolamo (Liberté egalité fraternité, ij fransèis a van an caròssa e noi a pe – Liberté egalité fraternité, i francesi vanno in carrozza e noi a piedi ). Gianduja vuol dire “Gian del boccale”, con accenno al suo amore per il vino che gli regala anche un bel naso rosso. È un contadino simpatico, bonario, semplice ed arguto allo stesso tempo, schietto, amante della buona tavola. Il suo nome è collegato anche al cioccolato e in particolare ai gianduiotti, i rinomati cioccolatini torinesi che nella loro forma ricordano il copricapo di Gianduja. Gianduia è un galantuomo allegro, con buon senso e coraggio, che ama il buon vino e la buona tavola. Personaggio sempre presente nelle feste popolari torinesi, dove non manca neppure la sua fedele compagna Giacometta con la quale, nei giorni di carnevale, gira su una carrozza. Gianduja vestiva con una lunga giacca marrone bordata di rosso, un panciotto giallo, calze rosse e brache di fustagno. Aveva i capelli raccolti in un codino legato all’insù con un nastro rosso, e in testa portava un tricorno (cappello a tre punte). Sul collo portava un fiocco verde oliva e un ombrello sempre dello stesso colore.
La maschera rispecchia il popolo piemontese: e’ un galantuomo (Venere), di carattere sempre allegro con buon senso e coraggio, ama il buon vino e la buona tavola. Pensa ai piaceri fisici e ai beni materiali, perciò rilevano dei deliziosi eccessi. Sia per il carattere bonario e godereccio con uno spiccato senso della lealtà, sia per l’aspetto solido, questa maschera ricorda il Segno del Toro.
Arlecchino (Gemelli): Arlecchino è una maschera bergamasca ed è uno dei personaggi più simpatici del Carnevale. Come Brighella, anche Arlecchino è di Bergamo ma della parte bassa della città. Diversamente dal suo compaesano, mostra scarso intelletto ed è sciocco, credulone. Facchino, truffaldino per natura e di nome, è sempre affamato, nel senso più completo della parola, poiché l’attore che lo incarnava sulle scene spesso ne condivideva le amarezze di una vita grama. Goffo e sempre gabbato è posto, a livello sociale, un gradino più basso del suo fedelissimo amico-nemico e compagno di avventure Brighella.
Il suo carattere è un insieme di astuzia, di coraggio e di poltroneria. Un grande maestro delle burle ed era il più testardo dei testardi, la più vaga e la più svagata maschera del mondo. Col suo abito a toppe colorate comunica allegria. Si dispera e si consola con grande rapidità, è scansafatiche, ingenuo, credulone e finisce sempre nei guai, quando non è lui stesso a crearli. E’ in grado di fare più cose rispetto a quelle che sta pensando nel medesimo istante, ama i giochi enigmistici e di intelligenza. Possiede un’ottima dialettica che spesso li aiuta a mascherare i propri difetti e carenze. Ama le oasi di pace e di riposo e l’aria fresca, il suo malessere è generalmente di origine nervosa e mentale (Mercurio). Arlecchino però ha origini molto antiche, addirittura tra le divinità dell’Europa celtica e si nasconde agilmente dietro l’identità di esseri che provengono da dimensioni invisibili. Come loro Arlecchino è un personaggio fuori dagli schemi che interviene, col suo bastone, a spezzare o cambiare improvvisamente le situazioni. È vivace, agile, astuto e proprio per tutte queste caratteristiche lo abbiniamo al Segno dei Gemelli.
Pulcinella (Cancro): Pulcinella è la maschera di Napoli ed incarna la ribellione del popolo contro i potenti ed i loro abusi, ma non è un eroe nel senso classico del termine. Impertinente, chiacchierone e pigro impersona la voglia di vivere che non si arrende davanti a nessuna difficoltà. Le ipotesi sono varie: c’è chi lo fa discendere da “Pulcinello” un piccolo pulcino perché ha il naso adunco; c’è chi sostiene che un contadino di Acerra, Puccio d’Aniello, nel ‘600 si unì come buffone ad una compagnia di girovaghi di passaggio nel suo paese. Altri ancora, come Margarete Bieber, vanno ancora più indietro nel tempo fino al IV secolo a.C. e sostengono che Pulcinella discende da Maccus, personaggio delle Atellane romane. Maccus rappresentava una tipologia di servo dal naso lungo e dalla faccia bitorzoluta con guance grosse, con ventre prominente, che indossava una camicia larga e bianca. Spontaneo e semplice, ingenuo e credulone, malinconico e dispettoso. Si burla del potere e i problemi che lo coinvolgono aguzzano il suo ingegno e la sua fantasia. Forse l’aspetto del Pulcinella che conosciamo oggi è quello dei disegni di Ghezzi, filtrati attraverso il costume che per anni indossò il più longevo e prolifico attore di farse pulcinellesche: Antonio Petito. Addirittura si è ipotizzato che la forma della maschera, in particolare nelle versioni più recenti, interpreti un comun denominatore delle caratteristiche somatiche (e craniometriche) che contraddistinguono il popolo dei vicoli. Nello studio, La vera storia del cranio di Pulcinella, una serie di caratteristiche somatiche, come le arcate sopracciliari pronunciate e gli occhi incavati, si suppone siano tramandate con grande frequenza nei fitti e chiusi microsistemi dei quartieri popolari di Napoli. L’umore mutevole (Luna), l’amalgama tra allegria e malinconia, l’irriducibile fiducia nella vita e la fantasia che lo caratterizzano lo avvicinano al Segno del Cancro.
Rugantino (Leone): Rugantino è la maschera tipica del teatro romano e impersonava, in origine, “er bullo de Trastevere”: arrogante, attaccabrighe, con un alto concetto di sé (Sole) ma anche fifone, e che spesso alla fine si prende le botte che minaccia di dare. Il costume tradizionale di Rugantino comprende un alto cappello da gendarme, il frac rosso, il panciotto, i calzoni rossi, ed è completato da calze bianche a strisce orizzontali. A parte le calze, tutti gli altri indumenti sono gli stessi che fanno parte della divisa dei soldati del Bargello romano, e qui prende l’ipotesi, quasi una certezza, che la maschera rappresenti la caricatura dei soldati. Famosa la sua battuta “Me n’ha date tante, ma quante je n’ho dette!” Con il tempo si è trasformato, aggiungendo al suo carattere venature di bonarietà e pigrizia e arricchendolo di sentimenti di solidarietà e giustizia che lo avvicinano ancor più al temperamento del Leone, un po’ pomposo ma anche tenero, altruista e con uno spiccato senso della giustizia. Il Rugantino, così come il suo essere Leone è il segno del potere. Denota volontà e determinazione unite a gentilezza. Questo segno ha un ego fortemente pronunciato che tende ad eccellere in ogni circostanza. I nativi del segno infondono un senso di fiducia e possono rivelarsi grandi “cacciatori” del sesso opposto. Sono consapevoli del proprio valore ed amano essere apprezzati, il che li rende altamente suscettibili all’adulazione, proprio come è maniera abituale “il fare” del Leone.
Colombina (Vergine): Colombina è la maschera femminile più famosa della Commedia dell’Arte. È il personaggio della servetta vivace, ironica, qualche volta bugiarda ma a fin di bene. È sempre complice della sua padrona e ne favorisce gli intrighi amorosi, raggirando il padre burbero, consegnando furtivi bigliettini e organizzando incontri segreti. Deve il suo nome all’attrice Marie Catherine Biancolelli (1665 – 1716) che la interpretò inserendo nel costume di scena una cesta che portava al braccio da cui uscivano due colombe. È l’erede di tanti personaggi di servette o ancelle già presenti nelle commedie fin dai tempi di Plauto o prima ancora. Colombina è arguta (Mercurio), si fa beffe dei padroni vecchi e brontoloni, dei sospiri degli innamorati, di chi le manca di rispetto. Non è la protagonista della commedia ma il suo ruolo pur marginale è fondamentale e risolutivo per molte delle situazioni intricate e comiche che si presentano. Proprio per questa tendenza a non mettersi in primo piano, oltre che per l’ironia sbrigativa con cui tratta le faccende amorose e per quel suo bisogno di essere sempre in ordine, Colombina ricorda i nati sotto il Segno della Vergine.
Leandro (Bilancia): Il carattere del « giovane amoroso », che assume volta a volta i nomi di Flavio, Orazio, Lelio, Cinthio, impone all’interprete bell’aspetto, prestanza fisica, voce gradevole, maniere di buona società, e vestire alla moda, dovendo rappresentare l’ ideale maschile (Venere) della sua epoca. Leandro è l’unico dei tipi di giovane amoroso che vada incontro a un destino meno felice: amante perfetto nelle compagnie italiane del ‘600 e nelle commedie di Molière, acquista alla fine del secolo una crescente vena di ridicolo: ai primi del ‘700, dire « il Leandro » non è più un complimento, ma una baja. Figlio di qualche Capitano, grande sterminatore di Saraceni, malgrado i pizzi e il parlar forbito, Leandro non riesce a collezionare che sdegnosi rifiuti. Maldestro, suscettibile, non ammette che altri abbia più fortuna di lui, e gli accade parecchie volte in un giorno di por mano alla spada; nessuno, però, ne ha mai vista la lama, anche se è risaputo che, più di una volta, calci destinati alla pancia di Leandro sono arrivati altrove grazie alle sue veloci giravolte. Un interprete famoso di Leandro fu Giovan Battista Andreini (1576-1654) che oltre a calcare le scene era anche un letterato. Leandro è preso qui come rappresentante di tutti gli “amorosi” che avevano comunque caratteristiche simili e cercavano di corteggiare le “amorose” con poesie e frasi eleganti e ricercate. L’amore più o meno contrastato tra i due protagonisti giovani era solitamente alla base dell’intreccio della rappresentazione e su questo si inserivano gli intrighi e i lazzi a cui contribuivano tutti gli altri personaggi. Leandro è un po’ una caricatura dell’anima dandy della Bilancia.
Stenterello (Scorpione): Stenterello è la maschera di Firenze, inventata da Luigi Del Buono (1798-1800), che le conferì anche il suo aspetto fisico magrissimo e gracile, come “cresciuto a stento”, da cui deriva appunto il nome. Il carattere di Stenterello è un insieme di impulsività, paura e coraggio che lo portano a schierarsi dalla parte del più debole anche se… gli tremano le ginocchia. E’ pieno di risorse, profondo, serio ed ha un forte magnetismo fisico (Plutone). Spesso autoritario e con grande capacità di scoprire il punto debole degli altri. Molto possessivo e capace di provare intense emozioni. Stenterello trova sempre la forza di ridere nonostante le avversità e le ingiustizie che subisce. La sua parlantina è irriverente, arguta e libera e si esprime con battute pungenti. È praticamente impossibile coglierlo in contropiede perché ha sempre e comunque la risposta pronta. Ricorderebbe forse lo spirito dello Scorpione.
Balanzone (Sagittario): Il dottor Balanzone è una maschera di Bologna e ne incarna l’anima bonaria e dotta. Corpulento e gioviale, a volte è presentato come medico, altre come avvocato o notaio ma è sempre chiacchierone, ingenuo, presuntuoso, un po’ pedante. Spesso sembra preso da riflessioni profonde e importantissime in realtà ha semplicemente la testa tra le nuvole. Infarcisce i suoi lunghi discorsi di citazioni in latino assolutamente maccheronico e totalmente incomprensibile alle altre maschere che si rivolgono a lui ingenuamente e con grande stima per avere un parere erudito. E lui è contento di aiutare, si fa in quattro per spiegare e consigliare nel suo linguaggio tanto astruso da sembrare profondo e competente. Come il Sagittario è ingenuo e gioviale (Giove) e come il Sagittario quando parte per la tangente non lo ferma più nessuno…
Pantalone (Capricorno): Pantalone, maschera veneziana, è un vecchio mercante avaro e brontolone. La professione di mercante è infatti indissolubilmente collegata al personaggio. Altri affermano che il termine è ancora più antico e si deve ricercare in un’espressione greca significante: “potente in tutte le cose”.
Rappresenta il tipo del vecchio mercante ricco e brontolone, stimato, a volte completamente in rovina (Pantalon de’ Bisognosi), pedante, non sempre accorto, avaro, incontentabile, testardo che non disdegna le avventure galanti, spesso innamorato, geloso e senza fortuna, facile preda dei raggiri dei suoi servi e delle donne che corteggia.
Mostra una grande vitalità sia negli affari che nel risolvere con energia e cognizione di causa i problemi familiari. Il suo linguaggio, a volte duro e licenzioso, si ingentilisce talvolta in forme bonarie e paciose assumendo la connotazione del “burbero benefico” goldoniano. È un po’misogino ma anche legato alla sua famiglia, talvolta è il genitore severo (Saturno) e talvolta è l’innamorato, mai ricambiato, di qualche fanciulla o della sua servetta. È un personaggio in parte comico e in parte dolce per via di una certa sua timidezza e malinconia, nascosta sotto la scorza burbera. Con la sua figura ossuta, il naso adunco, la palandrana e le pantofole, Pantalone è contemporaneamente genitore e antagonista degli innamorati e finisce sempre e comunque sbeffeggiato dai suoi servi Arlecchino, Brighella e Colombina. Pantalone prende in giro certi difetti del Capricorno: la diffidenza, una certa avarizia e ruvidezza che nascondono la sua parte più segreta e delicata.
Abbiamo colorato questo Carnevale con tante maschere, tutte diverse, tutte con le loro particolarità, e sempre con un valore aggiunto che è quello in chiave Astrologica, che ci permette di valutare le varie connessioni che ci sono con gli astri e le nostre menti.
La Redazione IlNadir
Sara Del Monte