La Costante Universale e La CABALA: un unico principio di verità assoluta
Ci si ricordi come in passato Astronomia ed Astrologia fossero due aspetti di un’unica scienza…
Nel libro sacro degli ebrei, il Talmud, vengono legate chiaramente le due scienze con uno dei più bei versi della Torà: “Poiché questa è la vostra sapienza ed intelligenza agli occhi dei popoli”.
Bisogna sapere che i fisici si sono scervellati sul numero 137 per gli ultimi 50 anni. Werner Heisenberg (a cui dobbiamo il famoso “Principio d’indeterminazione”, uno dei pilastri della fisica quantistica) affermò una volta che tutti i dilemmi della meccanica quantistica si sarebbero risolti non appena si fosse finalmente spiegato il 137… Un altro scienziato, Wolfang Pauli, era ossessionato dal 137, e passava innumerevoli ore a meditare sul suo significato.” Ad appena trent’anni Wolfgang Pauli era uno dei teorici più originali e brillanti della nascente fisica quantistica, che stava polverizzando le certezze della meccanica classica in nuvole di probabilità. Eppure ogni notte si ritrovava a vagare nei quartieri a luci rosse, fra prostitute e ubriaconi, in preda alla depressione e all’alcol. Fu proprio la sua doppia vita che lo indusse a rivolgersi a un luminare di un’altra scienza nuova e rivoluzionaria, la psicologia: Carl Jung, discepolo ribelle di Freud e instancabile indagatore di un inconscio collettivo popolato di archetipi, illeggibili altrimenti, senza l’ausilio di una visione più “distaccata” della realtà positivista di quegl’anni,al punto di confrontarsi con la dinamica astrologica (famoso resta l’epistolario tra Jung e Barbault). Dall’analisi dei sogni di Pauli emerse un profluvio di simboli e figure arcane che fu di ispirazione per terapeuta e paziente (cfr. Roberto Sforza).
L’incontro tra questi due versatili geni si trasformò così in una straordinaria collaborazione che aspirò a elaborare un linguaggio comune per la fisica e la psicologia, a trovare un ponte tra materia e spirito, ragione e misticismo. Nel 1952 i due pubblicarono assieme un lavoro sull’importanza della sincronicità, dell’inconscio e degli archetipi nel pensiero scientifico. Per Jung, la sincronicità era un tentativo di comprendere come qualcosa di mistico o di soprannaturale, le coincidenze esperienziali, considerate come dotate di certi “significati” capaci di influenzare profondamente uno stato psichico. Vi è cioè, per Jung, un parallelismo tra la connessione costante attraverso gli effetti (causalità) e quella incidentale attraverso i significati (sincronicità). Per parte sua Pauli considerava la stretta corrispondenza tra il termine razionale e quello del buono, così come quello dell’irrazionale con il cattivo: se si accettava l’idea che la realtà fosse una miscela di razionalità e irrazionalità, di determinismo e probabilismo, logicità e illogicità, tutto poteva esser accettato. A simboleggiare questa ricerca d’unità fu un numero “magico”, il 137. Un numero questo, di cui Pauli si era sempre occupato perchè il suo reciproco corrispondeva alla costante di struttura fine che entra nella teoria degli spettri atomici e lega assieme elettromagnetismo, relatività e teoria dei quanti. Era cioè uno di quei numeri magici che sembrano contenere un segreto del mondo materiale, una chiave per comprendere i più profondi problemi della fisica teorica. Per Pauli era “pericoloso” che vi fosse una netta distinzione tra conoscenza e fede, ma anche tra corpo e anima. Così, oggetto della sua meditazione fisica e psichica furono, assieme, gli aspetti altamente matematici delle teorie fisiche, i problemi epistemologici del pensiero di Keplero e del simbolismo medievale, oltre a quelli peculiari della questione psicofisica sulla quale si confrontò con Jung. In parole povere fu l’antesignano del polverone, che ora “sporca” le menti di più persone: la necessità continua e senza sosta di misticità e scienza per capire le reali intenzioni dell’uomo che l’astrologia moderna rappresenta coerentemente, come collant ineguagliabile ed efficace delle due opposte tendenze o presunte tali, perchè sembra ormai ampiamente accertato che nulla è realmente opposto all’altro, in quanto… il tutto è nell’ Uno e l’Uno è nel tutto.
L. Lederman, scienziato ebreo di chiara fama, come molti suoi connazionali,(premio Nobel per la fisica nel 1988), direttore del Fermilab, il più grande acceleratore di particelle degli Stati Uniti, racconta di come per un certo periodo avesse abitato in una casa il cui numero civico era 137 (in realtà era stato lui stesso a scegliere di mettere quel numero sulla sua casa, dato che si trattava di una fattoria isolata in campagna), afferma appunto che 137 è un numero puro, cioè non dipende dalle unità di misura utilizzate. È quindi un numero universale. Ma se oltre ad essere un grande scienziato L.Lederman, da buon ebreo, avrebbe dovuto avere una decente infarinatura della sapienza cabalistica, per sapere che 137 è il valore numerico della parola Cabalà:
– Quf-Beit-Lamed-Hey = C-ab-al-a
– 100 – 2 – 30 – 5 = 1 3 7
Spiegato in termini più …”semplici” da capire, 137 è il rapporto tra la velocità della luce e quella dell’elettrone in orbita intorno al nucleo dell’atomo d’idrogeno. O meglio, esso governa il legame che c’è tra materia e luce.
Riflettiamo bene su tutto ciò. La luce è il fenomeno che meglio rappresenta l’energia allo stato puro. Infatti, il fotone, che è il vettore dell’energia elettromagnetica, di cui la luce è uno degli aspetti, possiede una massa eguale a zero, cioè è del tutto immateriale. Dall’altra parte sta l’elettrone, che è la più stabile e comune tra tutte le particelle leggere (leptoni) di cui è fatta la materia. Abbiamo dunque due opposti: energia e materia, luce e oscurità, e in mezzo ad essi ci sta il numero 137, cioè la parola Cabalà, che significa “corrispondenza”, “parallelismo“.Uno dei grandi pregi della Kabbalah è quello di riuscire a mostrare compatibilità tra la visione tradizionale religiosa del mondo e la comprensione che di esso ne ha la scienza. Nessun altro sistema di pensiero spirituale o d’insegnamento mistico, secondo i più ferventi tra i cabalisti, arriva a tanto, (mi inserisco asserendo, senza tema i smentita passobile che l’Astrologia è la necessaria base di tutte le operazioni).
Per renderci meglio conto di questo fatto facciamo un esempio. Sappiamo che la velocità della luce è di circa 300.000 km al secondo. Se volessimo capire questo numero, utilizzando le tecniche cabalistiche, ci troveremmo di fronte a due problemi. Il primo è che la cifra non è esatta, ma approssimata; il secondo è che se misurassimo la velocità in cm. all’ora, o in miglia al giorno, o in qualsiasi altra unità di misura, avremmo sempre dei numeri diversi. Dunque, la loro interpretazione sarebbe relativa al sistema di misurazione utilizzato. Ma non così per il numero 137, che oltre ad essere un numero puro è anche un numero esatto, cioè non ha decimali. Ecco la grandezza della Cabalà! In essa sono contenute le chiavi per avvicinare e comprendere i fenomeni più disparati, sia quelli provenienti dal mondo sacro che quelli presenti nel mondo profano.
Studiando più da vicino il numero 137 scopriamo che è un numero primo, cioè non è divisibile se non per se stesso e per l’unità. Il numero 137 rappresenta un’immagine completa dell’Albero della Vita. Infatti, 100 sta ad indicare il livello di Keter, 30 il livello di Chokhmà, Binà e Da’at (Chabad) le tre sefirot superiori, chiamate anche “i cervelli”, e 7 le restanti sette Sefirot inferiori, da Chesed a Malkhut. Abbiamo così l’Albero completo di tutte le sue luci (cfr. il sito “la Cabalà” e sue publicazioni).
Questa classe di numeri rappresenta il segreto dell’individualità e dell’unicità. Se lo riduciamo, cioè se sommiamo tutte le sue cifre, otteniamo 11 (1 + 3 + 7). 11 è il numero che rappresenta la sefirà Da’at, l’undicesima, la più misteriosa:essa svolge un ruolo essenziale nell’Albero della Vita, in quanto le spetta il compito di unificare le tre Sefirot superiori (Keter, Chokhmà e Binà), come pure quello di unificare queste tre Sefirot con le sette inferiori. In termini umani, Da’at ha il compito di unificare tra di loro le varie modalità di pensiero di cui è capace la mente umana, sia nel loro aspetto intuitivo sia razionale. Inoltre, Da’at, si incarica di legare tutto ciò col sentimento. Come si vede, si tratta di un ruolo estremamente delicato ed essenziale. Secondo i Cabalisti più avveduti epistemologicamente, il numero 11 rappresenta anche il segno dell’Aquario, poiché esso è all’undicesimo posto nello Zodiaco, dato che ci troviamo nell’età dell’Aquario, ciò significa che abbiamo ora la più grande ed importante delle opportunità finora mai avute di compiere quella rettificazione, restituendo l’Albero della Vita alla sua unità primaria, e ritornando allo stato posseduto da Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden, potremmo finalmente rivedere il Graal Santo (cfr. il sito “la Cabalà” e sue publicazioni).
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