“La luce divenne brillante – dichiarerà in seguito la Eadie – più brillante del sole, e capii che nessun occhio umano in condizioni normali avrebbe potuto guardarla. Solo gli occhi dello spirito potevano sopportarla”.
Episodi di questo tipo, come sanno molti medici e anestetisti, non sono affatto rari nelle sale operatorie e di rianimazione degli ospedali. Centinaia di casi del genere sono stati studiati dal dottor Raymond A.Moody, un filosofo con una specializzazione in psichiatria. Costui ha coniato il termine OOBE, “out of body experience”, ossia viaggio fuori dal corpo o esperienza di pre-morte.
Tali esperienze sono straordinariamente simili per tutti, al di là delle differenze di razza, cultura o religione. Dall’Asia all’Africa all’America, tutti coloro che hanno sperimentato la pre-morte descrivono le stesse sensazioni: la separazione del corpo astrale da quello fisico, il viaggio attraverso il tunnel e l’arrivo in una luce ineffabile e bellissima. Molti di questi “viaggiatori astrali” trovano ad attenderli, oltre il tunnel, amici e parenti defunti, o figure collegate alle propria fede religiosa, da Gesù a Maometto, dagli angeli ebraici a Padre Pio da Pietrelcina. E tutti si rendono conto che, se varcassero una certa soglia, non potrebbero più tornare in vita, ma resterebbero per sempre in ciò che tutti definisco il “paradiso”. Regolarmente, a questi viaggiatori viene però concessa un’altra opportunità sulla Terra. Vengono così rispediti indietro e, tutt’a un tratto, si risvegliano nel letto d’ospedale preda di tutti i dolori del corpo, dolori che erano scomparsi istantaneamente al momento dello sdoppiamento astrale.
Molti luminari della medicina hanno liquidato questi episodi come visioni provocate dal mancato afflusso di sangue al cervello, in concomitanza con la somministrazione di anestetici o di altri farmaci. In effetti l’OOBE si verifica in prevalenza quando un paziente è in coma o, steso su un lettino operatorio, sta morendo. Il cliché del viaggio, poi, non sarebbe altro che un archetipo comune a tutta l’umanità, in quanto rappresenterebbe un ricordo distorto della nascita (dal buio dell’utero alla luce del mondo esterno).
Se queste esperienze hanno cominciato a essere conosciute solo a partire dagli anni settanta, secondo alcuni ciò è dovuto al fatto che soltanto in epoca recente sono state perfezionate le tecniche di rianimazione, permettendo così di salvare in extremis numerosi pazienti che in precedenza sarebbero stati dichiarati “clinicamente morti” anzitempo. Proprio in questo starebbe il segreto dell’OOBE, per gli scettici: nella mancata conoscenza dei processi allucinatori che si sviluppano quando il sangue non affluisce al cervello.
Se queste esperienze hanno cominciato a essere conosciute solo a partire dagli anni settanta, secondo alcuni ciò è dovuto al fatto che soltanto in epoca recente sono state perfezionate le tecniche di rianimazione, permettendo così di salvare in extremis numerosi pazienti che in precedenza sarebbero stati dichiarati “clinicamente morti” anzitempo. Proprio in questo starebbe il segreto dell’OOBE, per gli scettici: nella mancata conoscenza dei processi allucinatori che si sviluppano quando il sangue non affluisce al cervello.
Non tutti i medici, tuttavia, la pensano così.
Anche se non tutte le persone in fin di vita, o in coma reversibile, vivono questo tipo di esperienza, esistono comunque delle costanti nell’OOBE, ad esempio l’ineffabilità dell’evento, difficile da descrivere, o l’ascolto, in stato di incoscienza, della propria diagnosi di morte da parte dei medici e degli infermieri che si affannano nel tentativo di rianimare il morente. E ancora: il senso di pace e di quiete che subentra al momento del distacco dal corpo; un suono o un ronzio, a volte fastidioso a volte piacevolissimo, che precede il distacco dal corpo; il viaggio in ciò che Moody chiama “la galleria buia”; l’incontro con altri spiriti arrivati “per aiutare nel viaggio” o per comunicare che non é ancora giunto il momento di morire veramente. “Il fatto più incredibile – scrive Moody – è però l’incontro con una luce chiarissima, dapprima incerta, poi sempre più vivida, bianca o chiara ma non abbagliante, nella quale si trova un essere di luce con una personalità ben definita”. Che, a detta di chi è tornato, emana un amore e un calore che attira irresistibilmente il defunto.
Due sono i momenti che maggiormente colpiscono durante il “viaggio”. Il primo è il giudizio che ogni “trapassato” ha della propria esistenza. In pratica, una sorta di tribunale delle azioni buone e cattive commesse in vita. Il “defunto” vede passare davanti agli occhi, come in un film, tutta la propria esistenza. Non viene giudicato, ma si autogiudica e decide se andare all’inferno o in paradiso. Un’esperienza che Moody descrive come “una visione panoramica, tridimensionale, globale, vividamente colorata, degli eventi della propria esistenza.”. Il secondo è il mancato passaggio del “confine”. In pratica, una sorta di porta, o di limite, oltre il quale si troverebbe l’altra dimensione.
Coloro che desiderano studiare il fenomeno dell’OOBE in chiave scientifica possono accedere a non poco materiale. Oltre agli scritti degli esperti citati, sono infatti disponibili i risultati degli esperimenti condotti all’Università di Colonia dai dottori Konstantin Hossmann e Klaus Zuelch, i quali hanno confutato il luogo comune secondo cui il mancato afflusso di sangue al cervello per oltre dieci minuti finisce per produrre lesioni irrimediabili. Lesioni che, a detta degli scettici, sarebbero responsabili delle visioni di pre- morte. Sulla base di test condotti su alcune cavie, i due medici tedeschi hanno dimostrato che nelle cellule cerebrali, in cui era stato fatto mancare l’afflusso di sangue per oltre un’ora, era comunque possibile risvegliare alcuni processi biologici.
A riprova dell’esistenza di un “corpo astrale” in grado di viaggiare nell’altra dimensione, vi sono due famosissime fotografie, risalenti addirittura al 1900. Fu in quell’epoca che lo studioso francese Hippolyte Baraduc destò grande scalpore con un esperimento davvero straordinario. Deciso a fotografare gli ultimi istanti di vita della moglie morente, alla quale era morbosamente affezionato, egli scattò due foto alla donna, la prima quindici minuti prima del trapasso, la seconda due ore dopo il decesso. Lo sviluppo delle immagini riservò una grande sorpresa: al momento della morte, sul negativo era rimasta impressa una sorta di luminosità circolare, che fuoriusciva dal corpo. Per Baraduc non c’erano dubbi, era l’anima che stava lasciando il corpo. Probabilmente, diretta al tunnel di luce.
A riprova dell’esistenza di un “corpo astrale” in grado di viaggiare nell’altra dimensione, vi sono due famosissime fotografie, risalenti addirittura al 1900. Fu in quell’epoca che lo studioso francese Hippolyte Baraduc destò grande scalpore con un esperimento davvero straordinario. Deciso a fotografare gli ultimi istanti di vita della moglie morente, alla quale era morbosamente affezionato, egli scattò due foto alla donna, la prima quindici minuti prima del trapasso, la seconda due ore dopo il decesso. Lo sviluppo delle immagini riservò una grande sorpresa: al momento della morte, sul negativo era rimasta impressa una sorta di luminosità circolare, che fuoriusciva dal corpo. Per Baraduc non c’erano dubbi, era l’anima che stava lasciando il corpo. Probabilmente, diretta al tunnel di luce.
Dr. Claudio Crespina IlNadir